EPISODIO 04: INDEPENDENCE DAY – PARTE 1.
INTERNO – PIANO SUPERIORE DELLA BIG HOUSE – OLD EAGLE ROOM.
“Bene, signori, ed ora,” ha la parola Blanco, “all’ultimo punto dell’ordine del giorno, la celebrazione dell’Independence Day. In fondo è questo il motivo per cui ci siamo riuniti qui e non nella Round Room.”
“Ah si?” domanda Super Dan cascando dalle nuvole.
“Certo. Il nome di questa sala ricorda l’aquila, cioè il simbolo del nostro paese. Quale posto migliore in cui riunirci per discutere dell’Independence Day?”
“Ah…ecco…sì, certo…” balbetta Super Dan ancora confuso.
“Aquila, simbolo della nazione, il giorno in cui il nostro paese è diventato indipendente.” chiarisce Moore ormai rassegnato.
“Ma certo! Adesso ho capito! Naturalmente.”
“Bell,” gli sussurra il Capo di Gabinetto Moore, “sarà meglio fare una sintesi della festa, per il bene di chi sta a capotavola.”
“Signor Presidente,” prende la parola Bell, “come certo saprà negli Stati Uniti d’America il 4 luglio si celebra la Festa dell’Indipendenza, una delle feste più sentite per gli americani, per commemorare l’adozione della Dichiarazione d’indipendenza dalla Gran Bretagna. È la festa a cui il suo collega Donald Trump tiene di più.”

“Ma certo che lo so, ci mancherebbe.” risponde super Dan alzando il mascellone.

“Bene,” prosegue Bell, “anche qui celebriamo la nostra indipendenza dalla Gran Bretagna, avvenuta pochi giorni dopo, il 28 luglio.”
“Certamente, lo sapevo. Sono il Presidente.”
“Ecco cosa avviene in tutto il paese.” spiega Bell.
“Tutte le vie delle città si vestono con i colori della bandiera nazionale…”
“Giusto! Doveroso! Sacrosanto!” esclama Byjove. “In tutte le case dovrebbero farlo!”

“Si, certo, generale,” continua Bell, “non è raro vedere sventolare la bandiera nazionale nei giardini di casa.”
“Propongo che diventi un obbligo per ogni famiglia del paese.”
“Obbligo?? Generale, ma non è un po’ troppo? Se anche qualcuno non esponesse la bandiera nel proprio giardino o dalla finestra…”
“Lo passeremo per le armi!”
“Prego?!?”
“Generale,” interviene Super Dan, “forse è il caso di lasciare finire Bell.”
“Agli ordini. Comunque chi non appende la bandiera fuori di casa è un traditore della patria!”
“Ehm…dunque, dicevo…vi saranno ovunque grandi sfilate che celebrano questo giorno e per finire dei favolosi fuochi d’artificio, che vengono sparati di sera nei parchi e nelle piazze.”
“Magnifico!” esulta Byjove. “Non vedo l’ora di mettere mano agli esplosivi!”
“Cosa??” sobbalza Wright.
“Tranquillo, Wright, ci penso io!”
“È questo che mi preoccupa.” commenta Moore.
“Non dovete preoccuparvi di nulla. Ho maneggiato più esplosivi, razzi e missili io in vita mia che una squadra di artificieri.”
“Ora si che mi sento tranquillo.” borbotta Moore preoccupato.
“Generale,” interviene Blanco, “forse è il caso di lasciare che i fuochi di artificio avvengano secondo tradizione. Bell, concluda, per favore.”
“Insomma, la bandiera no, i fuochi d’artificio no,” sbotta il generale, “si può sapere che razza di festa è questa? La festa dell’uva??”
“Ehm, dicevo,” prosegue Bell, “che i festeggiamenti vengono svolti solitamente attraverso parate, concerti, partite di baseball, barbecue, picnic e fuochi d’artificio finali.”
“Ed è necessario che il governo faccia sentire la propria vicinanza al popolo durante le celebrazioni.” interviene Super Dan.
“Ma certo, signor Presidente,” replica Wright, “c’è sempre stato qualche rappresentante della Big House alla festa.”
“Assolutamente!” insiste il primo cittadino. “È importante che i cittadini sentano i politici al proprio fianco.”
“Signor Presidente,” lo elogia l’ingenuo Wright, “il suo attaccamento alla gente è lodevole.”
“Ed anche il suo attaccamento ai barbecue e ai picnic.” aggiunge Moore.
“Ehm…” bofonchia Super Dan, “non capisco…”
“Abbiamo capito noi, ma soprattutto capiranno sua moglie e Ms Brontenserious, che verranno insieme a noi. Bell, la giornata come sarà suddivisa?”
“Di solito le parate avvengono in mattinata, da mezzogiorno in poi barbecue e picnic, la sera, come detto i fuochi d’artificio.”
“Ovviamente non dobbiamo dimenticare parte storica della festa.” soggiunge Blanco. “L’Independence Day è una festa nazionale caratterizzata dal patriottismo…”
Byjove scatta sull’attenti e sguaina la sciabola sfiorando il naso di Bell.

“Generale, abbiamo capito,” lo richiama Blanco, “e ha capito anche il naso del povero Bell.”
“Quindi, per venire ad un tema così caro al nostro Presidente,” spiega Moore, “parteciperemo tutti insieme come ogni anno, i membri principali del governo non sono mai mancati.”
“Alla grande!” esulta Super Dan, attirando gli sguardi di tutti.
“Ehm…volevo dire, ma certo, è giusto, è nostro dovere partecipare.”
“Non scordiamo, però,” ricorda Moore, “che i politici spesso parlano al popolo, lodando la storia ed il passato della nazione.”
“Giusto.” approva Blanco. “Dobbiamo scegliere con attenzione chi di noi terrà il discorso, perché rappresenterà tutti noi di fronte al popolo.”
“Presente!” esclama Byjove scattando in piedi sull’attenti. “Sempre pronto!”
“Ehm…generale,” interviene timidamente Bell, “forse è il caso di riflettere con attenzione sulla sua candidatura.”
“Che vuol dire?” abbaia Byjove.
“Che forse sarebbe il caso di prendere in considerazione anche altri candidati?”
“Signori,” suggerisce Blanco, “la mia modesta opinione è che la persona più adatta tra noi a questo compito sia Wright. Che ne dite?”
“Concordo.” approva Moore, seguito dagli altri.
“È un giovane un idealista, lui crede in ciò che dice. Lo lasci fare, generale.” sussurra con un sorriso Super Dan a Byjove.
“In pratica un fessacchiotto…ho capito.” replica Byjove sottovoce.
“Signori,” risponde emozionato Wright, “per me sarà un grande onore parlare al popolo durante il Giorno dell’Indipendenza.”

“Bene.” conclude Blanco. “Ora, prima di chiudere questa seduta, dobbiamo esaminare un ultimo punto.”
“I barbecue?” domanda Super Dan.
“I picnic?” chiede Byjove.
“Che attaccamento alla patria.” commenta Moore.
“No, signori.” cerca di terminare Blanco. “Vi ricordo che a mezzogiorno in punto, nelle basi militari si svolge un saluto militare, chiamato il saluto all’Unione, in cui vengono sparati tanti colpi di cannone quanti sono gli stati che compongono gli Stati Uniti di Mont of Groovia.”

“Finalmente!” grida Byjove saltellando sulla poltrona. “Si spara!”
“Generale…” tenta inutilmente di concludere Blanco.
“Eh no! niente scherzi! La bandiera no, i fuochi d’artificio no, il discorso no, almeno quattro cannonate me le lasciate sparare? Chi volete che se ne occupi, Bell?!?”
“Direi che su questo argomento sia inutile discutere,” conclude Super Dan.
“Perfetto!” sobbalza Byjove raggiante. “Mi occuperò personalmente di ogni singola cariche da sparare, che poi invierò ad ogni base militare.”
BIG HOUSE – APPARTAMENTO DEL PRESIDENTE – PIANO SUPERIORE – QUELLA SERA.
“Come è andata la giornata, caro?” domanda la First Lady.
“Lunga e noiosa,” borbotta Super Dan. “tranne che per il finale.”
“E di cosa avete discusso alla fine?”
“Della celebrazione del Giorno dell’Indipendenza. Sai, dovremo partecipare tutti.”
“Già, ormai manca poco. E nel discorso farai anche qualche accenno storico, non so, allo Stamp Act, ad esempio?”
“Beh…si, certo…è chiaro.”
Gwendoline sospira. “Sai di cosa sto parlando, almeno?”
“Ma certo. L’atto dello stampo…ha a che fare con qualche raccolta di francobolli, cose del genere…”
“Ho capito, non sai nulla anche stavolta.”
“Cosa? Scherzi? Io? Sono il Presidente!”
“E allora, Presidente, farai ad ascoltare ciò che sto per dirti, almeno saprai cosa rispondere, se ti faranno domande.”
Super Dan si concentra, gli occhi diventano due fessure, la bocca socchiusa.

“Nella seconda metà del ‘700 crebbe il malcontento per le tasse imposte dall’Inghilterra alle sue colonie oltreoceano. Il motivo fu l’emanazione dello Stamp Act, cioè il pagamento di un bollo per giornali, atti legali e documenti commerciali. Così, nel 1765, nacque l’espressione “nessuna tassa senza rappresentanza“: i coloni si rifiutarono di pagare la tassa senza una loro rappresentanza nel Parlamento inglese.
Così lo Stamp Act venne sì abolito, ma fu sostituito con le tasse sulle merci che i coloni importavano dall’Inghilterra. In pratica non cambiò nulla.
Rimase solo quella sul tè, che causò le famose Boston Tea Party negli Stati Uniti e, pochi giorni dopo, il Port Louis Tea Party qui da noi.”
Il viso di Super Dan è sempre più teso, una goccia di sudore scende sulla tempia.

“Nel 1773 i commercianti americani assalirono le navi che portavano il tè negli Stati Uniti e gettarono il carico in mare, così i nostri commercianti fecero lo stesso. Ecco la famosa rivoluzione del tè, sia negli USA che qui, e la conseguente guerra, che scoppiò nel 1775.
La frattura fra le colonie inglesi e il regno britannico era ormai insanabile, proprio per le tasse imposte dai sovrani europei.
Così fu approvata una risoluzione d’indipendenza dalla Gran Bretagna, che presto divenne una vera Dichiarazione d’Indipendenza.
La guerra terminò nel 1776 e da quell’anno il 4 luglio per i nostri cugini americani e il 28 luglio per noi sono le feste nazionali per eccellenza.”
Gli occhi di Super Dan sono strizzati, la fronte imperlata di sudore, il suo parrucchino rischia di andare a fuoco.
“Hai capito, adesso, caro?”
“Eh, come no!”
“Buonanotte, tesoro.” dice la First Lady, ormai rassegnata.
INDEPENDENCE DAY – PORT LOUIS.
Il Presidente Daniel Kramp, sua Moglie, Ms Brontenserious e i principali membri del governo arrivano in auto. Gli uomini della scorta formano un cordone intorno a loro.
Gli vanno incontro il sindaco di Port Louis, il signor Benedict Johansson, seguito dal suo vice il signor Andrew MacKay.
“Benvenuto signor presidente, benvenuta First lady e benvenuti a tutti voi.”
“Comodo, ragazzo, comodo.” borbotta Super Dan col mascellone serrato e il solito atteggiamento borioso.
“La vostra presenza qui è per noi motivo di grande orgoglio,” continua il sindaco, “vogliate seguirmi, Port Louis vi aspetta.”
“Desideriamo esprimervi i nostri ringraziamenti per l’ospitalità e la vostra collaborazione con i nostri servizi di sicurezza.” esordisce Blanco.
“Nostro dovere.” risponde MacKay.
Il gruppo si incammina per le strade, tra la folla.
“Come saprete,” prosegue Johansson, “essendo una festività federale, tutte le istituzioni non essenziali, come il servizio postale e le corti federali, sono chiuse. Oggi è un giorno di festa per tutti.”

“Bene, bene. Quindi anche per noi.” borbotta Super Dan.
“Come??” chiede Johansson confuso.
“Nulla, sindaco, nulla. Prosegua pure.” interviene Moore, che poi bisbiglia a Super Dan: “Il barbecue e il picnic vengono dopo, signor Presidente, dopo.”

“Eccoci arrivati.” dice il sindaco. “Questo è il palco per il vostro discorso. La folla vi attende. Signor Presidente, sarà lei a parlare?”
“No,” interviene con prontezza Blanco, “il nostro Presidente purtroppo ha un po’ di mal gola. Sarà il nostro Wright a tenere il discorso.”
“Ehm…già…cough, cough…la gola, sa com’è.”
“Oh mi dispiace, spero non sia nulla di grave.”
“Eccomi.” avanza Wright verso i gradini del palco. “È uno dei momenti più emozionanti della mia vita.”
Tutti salgono sul palco, Wright inizia a leggere al microfono il suo discorso, il resto del gruppo si accomoda alle sue spalle.
Inizia con i riferimenti alla storia, la lotta contro l’Inghilterra ed il cammino verso l’indipendenza. Le palpebre di Super Dan assomigliano a due tapparelle in inverno, abbassate a metà, il generale Byjove fissa l’orizzonte di fronte a sé.
Poi la guerra con l’Inghilterra, il tributo di sangue pagato per la libertà, raggiunta e sancita dalla storica dichiarazione. Gli occhi di Super Dan sono due fessure, quelli di Byjove non fissano più l’orizzonte ma il pavimento del palco.
La nascita di una nuova nazione, il suo cammino, sempre a testa alta contro ogni genere di avversità. Le palpebre di Super Dan sono chiuse per manutenzione, il mento di Byjove è appoggiato sul petto.

E infine gli ultimi anni, il passaggio al nuovo millennio, un paese pronto ad affrontare nuove sfide nel modo di sempre, cioè tutti uniti.
Dalla folla si alza un boato, la gente esulta, trascinata dalle parole appassionanti di Wright, il primo cittadino ed il generale si svegliano di colpo, spaventati dal frastuono, scattano in piedi storditi.
“Applaudi, disgraziato, applaudi!” sibila la First Lady con un sorriso sforzato, mentre cerca di sfondare a gomitate il fianco del marito.
Swish! sibila il frustino di Ms Brontenserious vicino le natiche del generale. “Applaudire! Schnell! Applaudire! Schnell! Schnell!”
Le loro mani partono all’unisono in un fragoroso applauso, i loro occhi sembrano quattro fanali ammaccati, il parrucchino di Super Dan è appoggiato sull’orecchio destro.
Con un rapido colpo di mano la moglie raddrizza il parrucchino del marito. “A casa facciamo i conti…” gli sussurra con un sorriso tirato.
Le autorità locali sono quasi commosse dal discorso di Wright. “Un discorso eccezionale, toccante, uno dei migliori che abbiano mai fatto in questa ricorrenza.”
“Signor Johansson,” interviene MacKay, “devo ricordarle la tabella di marcia.”
“Ma certo. Signori, se volete seguirmi, ora proseguiamo il nostro giro.” Il gruppo passeggia per le strade, tra i saluti della gente.
“Le famiglie celebrano l’Independence Day” prosegue il sindaco, “organizzando un picnic o un barbecue e colgono l’occasione per riunire i parenti.”
“Ottimo!” esclama Super Dan. “E dove sono questi barb…ehm, cioè, queste famiglie, di grazia?”
Un’altra gomitata della moglie lo lascia senza fiato. “Caro, ma che domande, a casa loro, con i loro Barbecue, non certo qui.”

“Mentre, come potete vedere,” prosegue Johansson, “fuori casa si organizzano feste e picnic fino a tarda sera e si sente l’odore della carne alla griglia, proveniente dai parchi o dalle terrazze delle case.
“Sento, sento…sniff…sniff.” mormora Super Dan, che…swish… sobbalza sfiorato dal frustino della governante austriaca.
“Eh sì, sentiamo, sentiamo,” interviene pungente Moore, “vero signor Presidente? Nell’aria si sente il profumo della carne e della brace, non sente?”
“No! Io non sento, ho il raffreddore!” risponde a denti stretti.
“Ma non aveva mal di gola?” domanda Moore con un sorriso.
“Sì, certo, anche!”
“Peccato, non sa cosa si perde. Un profumo di…generale, secondo lei questo profumo cos’è…?”
“Salsicce…sniff…sniff…e percepisco anche le costine di maiale. Si, senz’altro, maiale!” risponde Byjove. “Ma caro sindaco, perchè non ci uniamo al popolo per festeggiare tutti insieme?”
“Non credo sia il caso, generale,” spegne le sue speranze Gwendoline, “dobbiamo proseguire il nostro giro.”
“Ma certo.” le dà man forte Moore. “E ci dica, cosa cucinano esattamente in casa le famiglie, da queste parti?”
“Beh, vedete,” risponde il sindaco, “la gente ama preparare dei banchetti per tutta la famiglia, in cui si mangiano i cookies al cioccolato, gli anelli di cipolla e anche le ali di pollo fritte.”
“Sentito? I cookies al cioccolato…” gira il coltello nella piaga Moore, guardando Super Dan, che comincia ad arrossire.

“Ma il re della cucina,” prosegue Johansson, “in questo giorno è il barbecue, per preparare le costolette di maiale che vengono consumate con salse di senape e peperoncino.”
“Le costolette di maiale,” insiste Moore, “generale, ha sentito?”
“Per mille baionette! Ho sentito e anche odorato!”
“E voi altri, signori, che ne dite della cucina locale?”
“Fantastica….” “Deliziosa…” “Stuzzicante…”
“Poveri maialini…” interviene Naive dispiaciuta.

“Poveri maialini?!?” la fulminano con gli occhi gli affamati Super Dan e Byjove.
“Beh, si, non basta la strage di tacchini a novembre per il giorno del Ringraziamento. Pure la strage di maialini ci mancava ora…”
“Donna,” sbraita il generale, “un maiale in più, un maiale in meno, non ha mai cambiato le sorti dell’umanità! Se lo ricordi!”
“Che pensiero delicato.” commenta Moore. “Generale, ha mai pensato di candidarsi alla presidenza del WWF?”
“WWF? Un branco di rinnegati!”
“Ehm, sindaco Johansson,” cerca Blanco di riportare il discorso sulla festa, “sa dirci qualcosa sulle decorazioni?”
“Ma certo,” interviene il vice sindaco MacKay, “io sono uno di quelli che li prepara. Sa, è una tradizione di famiglia. Come potete vedere intorno a voi sono colorate di rosso, bianco e blu, come la bandiera di Mont of Groovia, che spesso viene esposta nei giardini delle case.”
“Giustissimo!” grida Byjove. “Questi si che sono patrioti! E gli altri traditori, non ce l’hanno la bandiera?”
“Ehm, generale, non ora…” lo blocca Blanco.
“Ma è quasi mezzogiorno,” fa presente MacKay, “abbiamo giusto il tempo per tornare sul palco a sentire il saluto all’Unione delle basi militari. Tanti colpi di cannone quanti sono gli stati che compongono gli Stati Uniti.”
“Tranquilli,” irrompe Byjove veemente, “ci ho pensato io! Andiamo.”
Il gruppo, capitanato dal generale, torna verso il palco per prepararsi ai tradizionali colpi di cannone.
“Generale,” sussurra Super Dan, “Ha preparato tutto?”
“Tutto e di più, mio comandante.”
“Di più…? Che vuol dire di più?”
“Tutto a posto, si fidi, lasci fare a me!”
“Di più…cosa…?”
In quel momento un boato lontano fa tremare la terra e scuote gli alberi delle foreste vicine. Lo spostamento d’aria spazza via stendardi, striscioni, bancarelle e bandiere, la gente scappa in preda al panico, ovunque grida e caos. Gli agenti dei servizi segreti corrono verso Super Dan, lo spingono a terra, si buttano addosso per proteggerlo. Il suo parrucchino vola via e atterra sulla faccia di Bell.

Era un missile lanciato per ordine del generale Byjove.
Subito un altro boato spazzò via i pochi stendardi rimasti, e poi un altro e un altro ancora.
Tredici missili, quanti gli stati di Mont of Groovia, furono lanciati in rapida successione dalle basi militari circostanti.

Alcuni missili sparirono all’orizzonte, altri esplosero sulle colline circostanti e 4 in mare aperto, distruggendo il porto di una città vicina…
Lo spostamento d’aria fu terrificante: grida, fumo, stendardi e striscioni sbriciolati nell’aria, bancarelle rase al suolo e bandiere ridotte a brandelli.
“Signor Presidente,” gridano gli uomini della sicurezza, “come sta?”
“Auch…non respiro…” dice Super Dan con un filo di voce, sepolto dalla scorta, che immediatamente si rialza e lo rimette in piedi.
Dolorante, piegato in avanti, respira a fatica, quando…
“Ahh! Signor Presidente!” strilla la giovane segretaria Naive. “Le hanno rubato i capelli!”

“Non ci vedo!” grida Bell. “Sono diventato cieco! Sono diventato cieco!”
“I capelli! I capelli!”
“Oddio!” grida Super Dan coprendosi la testa con le mani. “Dov’è? Dov’è finito?”
“I miei occhi! Non ci vedo!”continua Bell. “Sono diventato cieco!”
“Generale!” esplode Super Dan. “Che diavolo ha combinato??”
“Io?? Tredici missili, uno per ogni stato! Perchè? Nemmeno il Presidente Donald Trump potrà batterci quest’anno.”
“Bell, si calmi,” interviene Blanco, “non è diventato cieco. Il parrucchino del Presidente è volato sulla sua faccia.”
“Cosa?? Bell, mi ridia i miei capelli!!”
“Bell,” sbraita Byove, “non le basta la farmacia che si è portato appresso? Adesso anche i capelli del Presidente si è fregato?”
“Aiutatemi, non ci vedo più!”
Blanco con decisione toglie il parrucchino dalla faccia di Bell e lo consegna con imbarazzo a Super Dan. “Ecco, credo che questo sia suo…”
Il primo cittadino si ritrova tra le mani il parrucchino bruciacchiato e spelacchiato. Una lacrima sta per scendere sulle sue guance.
“Tranquilli, ja?” rompe il momentaneo silenzio Ms brontenserious. “Io pensato: generale spara cannonate, Presidente fa barbecue, come minimo ci vogliono due parrucchini di scorta. Da questa parte, cerchiamo posto per cambiare testone di Presidente, ja?”
“Lei è un angelo,” commenta Gwendoline.
Super Dan, la moglie, la governante e gli uomini di scorta vanno in un ufficio.
“Speriamo che il Presidente non abbia riportato ferite o traumi.” dice il sindaco Johansson.
“Ferite?” tuona Byjove. “Il nostro Presidente è un condottiero!”
“Traumi?” aggiunge Moore. “L’unico che ha subìto sta sotto il parrucchino, ma purtroppo è incurabile.”
Dopo pochi minuti escono Super Dan, il suo nuovo parrucchino e gli altri.
“Signor Presidente,” gli va incontro il sindaco, “vedo che sta bene. Con tutti i danni che ci sono stati, lei non ha subìto neppure un graffio.”
“Già.” mormora Moore. “E poi dicono che la sfortuna non esiste.”
“Ed ora che facciamo?” domanda Blanco. “Non è rimasto molto per festeggiare, grazie al generale.”
“Non cominciamo! Erano tredici razzetti e neppure a testata nucleare!”
“Nucleare??” esclama Bell. “Oddio, svengo, i sali…”
“Bell!” sbraita Byjove. “Il prossimo anno nei cannoni ci infilo lei!”
“Veramente,” interviene MacKay, “ci sarebbe la cerimonia della Liberty Bell.”
“Giusto!” gli fa eco il sindaco. “Con tutto questo trambusto me ne ero quasi scordato.”
“E che sarebbe?” chiede Super Dan, aggiustandosi ancora il parrucchino appena indossato.
“Ma come,” lo fulmina con occhi la moglie, assestandogli l’ennesima gomitata nel fianco, “ne stavamo parlando proprio l’altro giorno. È un simbolo importante, ha quasi trecento anni, è la campana che sorgeva sulla torre della Independence Hall. Ma ormai è dal lontano 1850 che non la fanno più suonare, perchè è troppo vecchia e ha una grande crepa su un lato. Per questo la toccano delicatamente tredici volte per aprire le celebrazioni. “

“Complimenti, First Lady,” dice il sindaco, “vedo che conosce bene la nostra storia.”
“Oh, non è nulla.” ringrazia Gwendoline. “Me lo ha spiegato mio marito proprio l’altro giorno, vero?”
Silenzio.
“Vero??” e assesta un’altra gomitata questa volta nel pancione del marito.

“Argh…sì, certo, coff…coff…per l’appunto.”
“Prego, signor Presidente” gli fa spazio Johansson, “a lei l’onore dei tredici tocchi. Delicatamente, mi raccomando, basta che si oda appena un lieve suono.”
Super Dan saltella spavaldo sulle scale del palco dove si trova la Liberty Bell, con la solita sfrontatezza alza il mascellone, sfodera il sorriso della migliori occasioni e…
Continua…
Alla settimana prossima. Sigla!